Proviamo la settimana corta?

Si può davvero produrre di più e lavorare meno tempo? Parliamo di settimana corta e dell’esperimento dell’Islanda.  Molti paesi stanno provando ad adottare una diminuzione dell’orario lavorativo, ma mantenendo pari stipendio per i dipendenti e in base ai primi dati raccolti questo sarebbe un vantaggio per le aziende in termini di produttività e benessere dei lavoratori.

Molti paesi europei, soprattutto quelli più ricchi hanno diminuito nel tempo le ore medie di lavoro settimanali. Esiste però ampia disparità in Europa sulle ore lavorative minime e in molti paesi la maggior parte della popolazione lavora ben oltre 40 ore. Secondo un’elaborazione di OpenPolis di Febbraio 2022, in Italia più del 58% della popolazione lavora più di 40 ore settimanali e solo il 24% lavora meno di 35 ore a settimana.

Belgio, Emirati Arabi, Islanda, Giappone, Nuova Zelanda e Spagna hanno tutti sperimentato in modalità differenti la settimana corta per i loro lavoratori. In Belgio hanno introdotto una maggiore libertà di distribuire le ore lavorative, ma mantenendo lo stesso monte ore. Gli Emirati Arabi hanno adottato una nuova settimana lavorativa più vicina ai tempi di quella europea, ma lasciando almeno mezza giornata libera al venerdì che nei paesi musulmani è giorno dedicato alla preghiera.

In Islanda la sperimentazione è stata fatta più in grande e si sono avuti discreti successi. Nel 2021 l’86% circa dei lavoratori lavorava adottando un orario settimanale ridotto a 36 ore e l’economia dell’intero paese è rimasta invariata: il benessere delle persone è però migliorato! Per non parlare poi delle sempre più numerose aziende nel mondo che sperimentano flessibilità e settimana corta!

Settimana corta - Eis blog - Islanda

Esempi di settimana corta in Italia

Al momento questa opzione non rientra nell’agenda politica del nostro paese. La legge non consente di scendere sotto le ore stabilite dal contratto di categoria e servirebbe quindi passare attraverso una contrattazione sindacale collettiva. Introdurre queste innovazioni richiederebbe approcci manageriali all’avanguardia e l’adozione di soluzioni tecnologiche flessibili per monitorare e coordinare le persone: l’Italia in questo non brilla.

Ci sono però esempi di aziende virtuose che provano ad innovare la flessibilità lavorativa nel contesto italiano. GraphiStudio produce album di nozze a Pordenone e lascia massima autonomia ai suoi 200 dipendenti. A Bologna i sindacati hanno siglato accordi con Ducati, Lamborghini, Marposs e altre fabbriche metallurgiche per consentire di scegliere tra aumenti in busta paga e permessi in più. Quasi tutti i lavoratori di Marposs hanno preferito lavorare mezz’ora in meno e la produttività non ha risentito.

In Zupit, azienda di Trento che sviluppa software, sono passati da 40 a 30 ore settimanali in due anni, lavorando dalle 8 alle 14 e mentendo invariato lo stipendio. “Si tratta di lavorare meglio”, spiega Andrea Zomer, Ceo di Zupit, in una intervista al giornale Trentino: “Ci siamo accorti che se stiamo meglio nella nostra vita, allora anche la nostra produttività migliora. Abbiamo misurato la produttività: c’è stata una riduzione intorno al 7% che è inferiore rispetto al numero di ore in cui non lavoriamo più», che sarebbe una riduzione oraria del 25%! In questo caso la produttività è calata di qualche punto, ma posso immaginare che il benessere e la dedizione dei dipendenti al lavoro sia migliorata molto!

Settimana corta - Eis blog - bandiera

Una riflessione realistica sulla settimana corta

Da queste esperienze e altre che non abbiamo citato, sembrano emergere solo aspetti postivi: incremento della produttività, dipendenti più felici e coinvolti, miglior employer branding e fidelizzazione dei lavoratori, ma anche meno traffico, meno inquinamento e maggior equità sul posto di lavoro per persone che oltre al lavoro si occupano della loro famiglia. Però non abbiamo ancora abbastanza ricerche che possano dimostrare che questi effetti accadrebbero in tutti i contesti (paesi diversi, aziende diverse, tipi di produzione diverse), né quale sia il modo migliore di ridurre l’orario lavorativo.

Adottare la “settimana corta” richiede una certa cultura del lavoro e tecnologie adatte a far progredire il lavoro anche con lavoratori flessibili. Certi settori, come quelli che prevedono l’assistenza continua al cliente, o i lavori su turni, potrebbero avere costi troppo alti per compensare l’orario ridotto del personale con altri lavoratori. Insomma, è di sicuro più facile parlare di settimana corta per “lavori da ufficio”, che forse sono quelli meno logoranti. Ancora più difficili da calcolare sono gli effetti su un intero paese di una eventuale vasta riforma dell’orario lavorativo: migliorerebbe la salute tanto da avere un effetto sulla sanità? Avremmo tutti più tempo per nuovi progetti extra lavorativi? Cambierebbero le nostre abitudini di fare le commissioni, di fare sport, di fare vacanza?

L’evoluzione delle tecnologie ci porterà probabilmente a ridurre le ore lavorative settimanali prima o poi. Io penso però che già oggi molte attività lavorative beneficerebbero di orari lavorativi ridotti. Per esempio, nei lavori impiegatizi quello che viene realizzato nelle 8 ore giornaliere, può essere svolto probabilmente in 7, se contiamo i permessi richiesti in un mese. In molti lavori logoranti, quanti infortuni e dimissioni si potrebbero risparmiare con qualche ora di lavoro in meno alla settimana da dedicare al riposo? Il lavoro è cambiato e sta continuando a cambiare. I dipendenti non possono più essere considerati esecutori meccanici che producono 100 pezzi ogni ora. Dobbiamo considerare i lavoratori come risorse umane! Persone capaci di creare, sviluppare, risolvere, adattarsi e di produrre ben più di un certo numero ogni ora.

Con le moderne tecnologie, l’idea della produzione oraria dei dipendenti sta perdendo ogni significato. Le persone possono realizzare di più, quando sono messe nelle condizioni di sviluppare e risolvere e problemi, quando possono gestire la loro vita e mantenersi in salute e felici. Quando inizieremo con lo smartworking?

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